“Fu nella mia piccola mansarda nella casa dei miei genitori.
Karl Neundörfer ed io avevamo discusso della questione che ci affaticava entrambi, e le mie ultime parole erano state: “occorrerà arrivare alla frase: chi vuol serbare la sua anima, la perderà; chi invece la dona, la salverà” (Mt 10, 39). Mi era divenuto a grado a grado chiaro che v’è una legge secondo la quale l’uomo, quando “conserva la sua anima”, cioè rimane in se stesso e accetta come valido soltanto ciò che gli appare immediatamente evidente, perde la realtà essenziale. Se vuole invece giungere alla verità e nella verità al suo vero se stesso, allora deve donarsi… A queste parole Karl Neundörfer era andato nella camera accanto, alla quale conduceva una porta su un balcone. Io sedetti dinanzi al mio tavolino e il mio pensiero procedette: “Dare la mia anima, ma a chi? Chi è in grado di chiedermela? Di chiedermela in modo che non sia ancora io che la prendo in mano? Non semplicemente ‘Dio’, poiché quando l’uomo vuole avere a che fare soltanto con Dio, allora dice ‘Dio’ ma intende se stesso. Deve perciò esserci un’istanza oggettiva, capace di trar fuori la mia risposta da ogni nascondiglio dell’affermazione di sé. Ma tale istanza è soltanto una ed unica: la Chiesa cattolica nella sua autorità e precisa determinatezza.
La questione del dare o conservare la propria anima viene decisa in ultima analisi non dinanzi a Dio, ma dinanzi alla Chiesa”. Allora mi sentii nell’animo come se portassi nelle mie mani tutta, ma veramente tutta la mia esistenza, come su una bilancia che fosse in equilibrio: “Posso farla pendere a destra o a sinistra. Posso dare la mia anima o tenerla”. Allora la feci pendere dalla parte giusta. L’istante fu del tutto silenzioso: non fu né una scossa, né una illuminazione, né una qualche esperienza di particolare riverbero emotivo. Fu la chiara convinzione: “E’ così” – e il moto impercettibilmente sommesso: “Così dev’essere!”. Allora uscii, andando dal mio amico, e glielo dissi. In lui doveva essere accaduto qualcosa di simile; per lui già da tempo era risuonata la parola direttiva: “La maggior chance di verità è là, dov’è la maggior possibilità di amore”. Aveva riconosciuto che gli mancava il mondo dell’amore e che la pienezza della vita dipendeva dal conquistarlo. Perciò la questione per lui era stata dove passasse la via dell’amore, e la risposta era suonata anche per lui: attraverso la Chiesa”.

(cit. in C. Fedeli, Pienezza e compimento, alle radici della riflessione pedagogica di Romano Guardini, Vita e Pensiero, 2003, pp. 16-17).