Ogni vocazione nasce come stupore per la bellezza che è in Gesù. E Gesù ha iniziato proprio così: stupendo i suoi discepoli. Non è andato a cercarsi i migliori. Ha preso quelli che il Padre gli ha dato. Alcuni erano un po' rissosi, altri più miti.  Qualcuno aspirava a un posto di privilegio. Qualcun altro faceva i progetti su di Lui. Tutti furono vinti dal suo amore, che si è presentato in modo capovolto rispetto a tutte le loro aspettative di discepoli. Chiese loro di seguirlo sulla strada impervia della Croce. E loro un poco a malincuore, sia perché non capivano il Maestro, sia perché la croce faceva loro paura, lo hanno seguito vinti dalla sua originalità. Era così diverso da tutti che non stare a quello che Lui diceva, per quanto fosse strano, avrebbe significato rinunciare alla propria intelligenza. Era troppo ragionevole seguirlo, anche se non era chiaro dove Lui li avrebbe portati. Egli corrispondeva alla ricerca più profonda del loro cuore.    Stare con Lui era di un'urgenza irrinunciabile. A qualunque costo. Era troppo bello seguirlo. Staccarsene avrebbe significato ritornare al non senso di una vita senza futuro, rinchiusa nelle loro solite quattro cose. Ad un certo momento essi si persuasero che obbedirgli era un guadagno per la loro umanità. Questa stessa dinamica si ripete in ogni vocazione cristiana. In una verifica vocazionale quello che viene subito in mente è quello che si lascia. Perciò, la tentazione entrerà sempre nel cuore accentuando la croce e la rinuncia. Ma in una vocazione a Cristo ciò che ne rivela l'autenticità è l'attrattiva che il suo Spirito suscita come fascino. La croce e la rinuncia sono solo la testimonianza da rendere all'amore per Lui, che ci ha amati fino alla morte in croce. Niente più. Ma quello che sta in primo piano è sempre una letizia di cuore che supera tutte le paure.