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PREMESSA: LA VOCAZIONE E' UNA GRAZIA

Andrea e Giovanni, quando hanno visto Gesù, lo hanno seguito incuriositi ed attratti (Gv 1, 35). Lì è cominciata la loro vocazione: il loro rapporto con Cristo. La vocazione, ancora oggi, è mendicare Cristo, è il rapporto con Cristo. Il cuore è fatto per Lui: e in tutto quel suo vagare da una cosa all’altra mendicando la felicità altro non è che cercare Cristo. Possiamo desiderarlo. Dobbiamo desiderarlo. Ma realizzare questo rapporto, non lo decidiamo noi. Noi possiamo disporci. Il nostro compito è di disporci. E pregarlo: pregare è domandare che si compia ciò per cui siamo fatti, ciò secondo cui Lui ci vuole.
Ma, il rapporto con Cristo scaturisce come dono dello Spirito: è grazia a cui bisogna corrispondere con la propria libertà.
Per opera dello Spirito Santo Gesù si è incarnato nel seno della vergine Maria. Per opera dello Spirito Santo è risorto. Lo Spirito Santo è l’energia con cui Cristo resta perennemente contemporaneo all’uomo. E così, per opera dello Spirito Santo, Cristo può prendere possesso della nostra vita. E’ una grazia.
Bisogna essere umili e discreti di fronte al disegno di Dio sulla nostra vita! Che Dio si accorga di me, che pensi a me, per rendere presente la sua opera di redenzione nel mondo: è un fatto a cui tu non penserei affatto. Per questo bisogna essere disponibili, umili e attenti a qualunque accenno Dio ci faccia presentire.
Questa è l’originalità di Dio: egli entra nel mondo attraverso povera gente, poveri uomini come me e te. Dio prende possesso del mondo e lo cambia attraverso poveri uomini.

1. PRIMO CRITERIO: AVER MATURATO UN ATTEGGIAMENTO DI DISPONIBILITA' A SEGUIRE CRISTO IN TUTTO

Per poter essere pronti a capire i segni che Dio vorrà mandare per svelarci ciò a cui ci chiama bisogna prima di tutto non pensare alla vocazione, ma piuttosto desiderare che nella propria vita sia fatta la volontà di Dio. In altre parole, dobbiamo educarci a essere disponibili per qualunque missione specifica Dio voglia da noi. Solo se ci educhiamo alla disponibilità saremo capaci di capire quali sono i segni della nostra vocazione.

Se Dio ti chiedesse di abbandonare tutto e di entrare in seminario, saresti disposto a seguirlo? Se sei attaccato ad una tua idea sulla vita, cercheresti di difenderla; e probabilmente troveresti tutte le scuse buone per non seguire quella voce. Se invece sei disponibile, allora pur nella prudenza che non ti rende precipitosa ti concederesti.
In altre parole, prima della vocazione devi verificare la tua disponibilità alla vocazione. Insomma, devi dire a te stessa: sono davvero disponibile a qualunque cosa mi chieda il Signore? Sono attaccata a qualche idea sulla mia vita e la ritengo più importante di quello che il Signore può aver pensato per me?

La vocazione particolare presuppone la vocazione cristiana, cioè la vocazione di creatura chiamata a Cristo. Perciò prima di indagare sui criteri della vocazione bisogna che la propria vita sia disponibile per Cristo.
La vocazione perciò è diponibilità a Cristo: “Signore fa di me quello che vuoi”; “Signore ti appartengo, perciò rendimi capace di esser fedele a quello che tu vuoi da me”; “Non so, Signore, che cosa vuoi da me, neanche mi interessa, voglio solo fare quello che vuoi Tu”.

2. SECONDO CRITERIO: COME POSSO SERVIRE DI PIU' E MEGLIO IL SIGNORE?

Come primo criterio devo pormi una domanda: come posso nelle circostanze concrete della mia vita servire di più il Signore? Non c’è, nella vita dell’uomo, un bene più grande di Cristo. Perché vivere in Cristo è la condizione definitiva che rende l’uomo veramente contento, e contento per sempre, di quella letizia che non tramonta.
Allora io devo rispondere a questa domanda: come nelle circostanze concrete della mia vita posso servire di più il Signore? In quale modo posso dare più gloria al Signore e posso renderlo maggiormente incontrabile dagli uomini del mio tempo?
Per poter rispondere a queste domande occorre avere una grande stima di Gesù, aver assimilato in sé la convinzione che non c’è bene più grande di Lui. Se non è cresciuto questo amore, diventa difficile rispondere a quelle domande e soprattutto diventa astratto parlare di vocazione, poiché la vocazione nasce proprio da questo aver capito che Cristo è il bene più grande della vita.
La concezione con cui la mentalità mondana ci abitua a guardare al nostro futuro è agli antipodi di questo criterio. Il criterio con cui siamo abituati a guardare il nostro avvenire è incentrato sul tornaconto o il gusto o il comodo per l’individuo: nel fare questo o quello che cosa ci guadagno di più? Che cosa mi soddisfa di più? Che cosa mi fa più comodo? Raramente siamo abituati a domandarci: che cos’è il mio vero bene? La strada da scegliere, la persona da amare, la professione da svolgere, la scuola da frequentare: tutte queste cose sono determinante - per il mondo - da un unica preoccupazione: il vantaggio del singolo. Stando così le cose, capovolgere questo criterio rischia di essere pensato come un’infatuazione religiosa, un’esagerazione, una sfida al buon senso.
Che uno possa intuire che il criterio decisivo per la sua vita sia l’amore a Cristo è visto come un’anormalità, anche da persone pur buone. Forse anche i genitori, nella preoccupazione peraltro lodevole di vedere i loro figli riuscire, ragionano sulla vita in modo che Gesù Cristo resta esiliato dalla realtà. Egli non è pensato come il criterio che può determinare tutta la vita di un giovane. Consigli, ammonimenti, giudizi, rimproveri ..., tutti gli interventi, sono guidati come se non ci fosse il desiderio di servire il tutto, di essere a disposizione del regno di Dio, di farsi strumento di Cristo nel mondo.
La vocazione cristiana deve recuperare prima di tutto questo attaccamento pieno di amore al Signore. Questo è il più grande criterio educativo per una giovane personalità cristiana.

3. TERZO CRITERIO: APRIRE IL CUORE AL TUTTO E SENZA RISERVE

Aprire il cuore al tutto senza paura, sottoponendolo a discernimento: lasciandosi guidare dalle intuizioni pur minime del cuore.
"Le allusioni al destino vanno intuite senza ritardo con una specie di simpatia miracolosa" (R. Guardini).
Questa disponibilità senza riserve al tutto, o per lo meno questo desiderio o questa domanda di essere capace di consegnarsi al tutto, è la radice su cui si può comprendere a quale funzione particolare si è chiamati a svolgere, quale che sia cioè la vocazione particolare. Tale disponibilità rivela la propria apertura di cuore e la condizione di autenticità del cuore. Se un cuore è autentico è aperto sulle infinite possibilità della vita: è aperto persino all’impossibile. All’impossibile che Dio chiami anche te.
Ma ciò che concretamente uno deve fare non gli si presenta come chiarezza inequivocabile o come un comando preciso ineludibile. Quello che Dio vuole da noi ce lo fa presagire sotto forma di suggerimento o di invito. La vocazione si presenta molto discretamente, più come possibilità intravista che come destino inevitabile. Anzi quanto più è impegnativa la scelta da compiere, tanto più la vocazione si presenta alla libertà sotto forma di ispirazione discreta, di intuizione che lascia timorosi. Così la propria statura di persona la si decide aderendo a quelle circostanze delicatissime che si offrono all’intuizione del cuore. Sprecare queste intuizioni, evitarle a cuor leggero, sfuggirle, non prenderle mai sul serio significa molto spesso costruire la propria tristezza, rinunciando ad essere pienamente uomini.
Queste intuizioni però vanno sottoposte a discernimento. Occorre una guida; ma anche l’aiuto di una guida non si potrà mai sostituirsi alla responsabilità della persona. Resta quindi sempre la fatica della propria personale decisione. Ed è proprio questa che ci rende grandi nella vita.

4. QUARTO CRITERIO: QUAL E' IL BISOGNO PIU' URGENTE PER LA CHIESA?

Il quarto criterio consiste nell’interrogarsi seriamente su questa domanda: qual è il bisogno più urgente per la Chiesa, oggi? Se il bene più grande da perseguire nella vita è il Regno di Dio, la gloria di Cristo, la testimonianza a Cristo: con che cosa coincidono concretamente queste cose? Coincidono con il bene della Chiesa.
In un’epoca come la nostra in cui tutto è diventato secolarizzato, dove cioè il mondo governa se stesso a prescindere totalmente dal suo vero senso, e cioè da Cristo, ciò di cui la Chiesa ha più bisogno è che ci siano persone che dimostrano che Cristo è la presenza per la quale val la pena di vivere. Ciò di cui c’è più bisogno, oggi, è testimoniare che Cristo è la presenza che rende più umano, più lieto, più intenso, il vivere. Quello di cui c’è più bisogno, oggi, è la testimonianza di Cristo: che Cristo sia testimoniato vuol dire che Cristo sia manifestato come colui seguendo il quale l’uomo diventa più umano, o più ancora che compie l’umano più di qualsiasi altro, che libera l’uomo e lo rende più lieto. Insomma che la fede fa vivere, e fa vivere intensamente, questa nostra vita; mentre intorno a noi c’è la convinzione indotta dalla mentalità materialista che la fede impedisce di vivere, che sia una mortificazione del vivere, che sia solo rinuncia.
Ciò di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è che il credente si metta a disposizione di questo. E questo non è un mestiere, una professione o un ruolo. Non ci sono i professionisti della fede: è una vocazione. C’è bisogno cioè di annunciatori del Vangelo. Perché senza annuncio, l’uomo resta chiuso nella sua illusione e morte. “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato. Ora, come potranno invocarlo senza aver prima creduto in Lui? E come potranno credere, senza averne sentito parlare? E come potranno sentirne parlare senza uno che lo annunzi? E come lo annunzieranno senza essere stati inviati?... La fede, dunque dipende dalla predicazione, e la predicazione si attua a sua volta per la parola di Cristo” (Rom.10,9-17). Ma la predicazione non è una parola astratta. La predicazione efficace è la testimonianza della vita. E non c’è modo più potente che quello della verginità per cui una vita è intensa, intelligente, affettivamente compiuta e ilare, lieta, creativa, aperta a tutto e a tutti, perché in essa il cuore poggia totalmente su Cristo. Nel mondo d’oggi, occorre una testimonianza paradossale che contraddica la concezione del mondo. Solo a questa condizione si può venire ascoltati. Oggi Cristo è immaginato come superfluo o ingombrante, persino noioso: la verginità mostra che Cristo può dar origine a una vita che, pur discostandosi dai criteri del mondo, è pienamente umana.

NOTA
Rispondiamo a questa obiezione: “nella verginità si dà a Cristo l’energia più potente della propria natura, cioè l’affettività; ma anche chi è sposato è chiamato a dare la sua affettività a Cristo. Allora, perché seguire il consiglio evangelico della verginità consacrata?”.
L’affettività per Cristo nella vita matrimoniale non assume una forma di vita come avviene nella verginità consacrata. L’affettività è un moto del cuore, che implica anche un’espressione. Il vergine che rinuncia all’espressione normale dell’affettività naturale nel suo aspetto più intenso di rapporto fra uomo e donna, manifesta di avere un amore che non ha uguali per Cristo. Affezione vuol dire aderire a qualcosa perché ne sei toccato, colpito. L’affezione a Cristo nella verginità vuol dire che Cristo è l’unico senza paragoni, e che perciò a Lui e a Lui soltanto vuoi legarti, senza mediazioni. E questo è talmente strano e paradossale che implica una vocazione particolare. Non siamo noi a scegliere questa strada: ché anzi questa strada a noi sembra strana, ardua e difficile. E’ Lui che ci può scegliere per questa strada: e a noi spetta solo la generosità della nostra libertà di adesione. Generosità che può essere generata solo dall’aver assimilato la chiara percezione di fede che Cristo è il vero destino della vita, cioè dall’amore per Cristo. Difatti per capire la vocazione di consacrazione bisogna amare Cristo, ed amarlo molto. Ed in questo modo, nella verginità uno non rinuncia ad amare, ma dirige il suo amore verso ciò che ultimamente lo definisce. Punta direttamente il suo cuore su Cristo. Non si lascia deviare da nessun altro amore: ed ogni altro affetto è orientato e convergente in maniera esclusiva su Cristo.

5. QUINTO CRITERIO: FARE I CONTI CON LE CIRCOSTANZE CONCRETE IN CUI HO INCONTRATO IL SIGNORE

Il quinto criterio è un’annotazione molto concreta: fare i conti con le circostanze attraverso le quali hai incontrato il Signore. La prima circostanza con cui fare i conti è l’inclinazione del cuore. Non l’impulso immediato del sentimento, ma l’inclinazione che lo Spirito fa nascere nel segreto. La vocazione si conferma attraverso a questo dialogo intimo tra sé e il Signore. Se tu senti l’inclinazione a dare te stesso per il bene degli altri: devi domandarti se per caso il Signore non abbia riservato per te una vocazione più profonda e decisiva per Lui. Se tu t’accorgi che l’amore umano ultimamente non ti rende pienamente contento: allora devi domandarti se, per caso, Dio non voglia che tu dia il cuore a Cristo.
La seconda circostanza è data dagli incontri che fai. Se il Signore ti ha fatto incontrare alcune persone particolari od una comunità particolare, devi fare i conti con la loro proposta, con il loro carisma. Perché se il Signore voleva da te qualcos’altro, ti faceva incontrare altre persone. E invece no. Questa è la circostanza concreta con cui devi verificarti. Tutto è dato dallo Spirito, anche le circostanze esterne, anche la percezione dei bisogni della Chiesa, anche la scoperta della necessità della testimonianza a Cristo come suprema esigenza della vita. Lo Spirito, dal di dentro, condurrà con una chiarezza crescente, senza artificio e pressione, a capire che per te sta bene quella modalità particolare (ad esempio, quella vincenziana della carità) di testimoniare Cristo.
Ci possono poi essere circostanze particolari, proprie di ognuno. Tutte vanno vagliate con cautela. La fedeltà alle circostanze è una garanzia di oggettività nel discernimento vocazionale.

6. SESTO CRITERIO: LASCIARSI GUIDARE DA UN DIRETTORE SPIRITUALE

Non si può discernere da soli la propria vocazione. Le circostanze, di cui al criterio quinto, vanno verificate nel tempo con la tua guida spirituale, per impedire che le intuizioni del cuore siano illusioni del sentimento.
 
Non sono illusioni se si seguono quattro indicazioni:

1.

Se sei vero nel raccontare di te e non trattieni qualche particolare che ti fa male, consegnandoti interamente alla tua guida spirituale;

2.

Se impari a mortificarti per la vocazione che senti sbocciare in te: ed allora sai rinunciare volentieri ad altre cose, per rendere più esplicito il tuo rapporto con il Signore;

3.

Se ti dedichi con costanza ad una regola di preghiera e di servizio verso i più poveri.

4.

Se partecipi con gioia interiore alla vita sacramentale: all’eucaristia ed al sacramento della riconciliazione.

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